Carpenter aiuta i senzatetto, Toronto lo ferma
Khaleel Seiwright e le piccolissime “case-rifugio” che costruisce per i senzatetto
Odoardo di Santo
Di Khaleel Seiwright sappiamo poco.
E' un carpenter che in italiano puo' essere un falegname se e’ “finished carpenter” o un semplice carpentiere se non e' “finished”.
Ma e' un uomo di cuore.
Dei carpentieri facemmo conoscenza nell’immediato dopoguerra .
Il geniale ministro Italiano Amintore Fanfani per sfamare letteralmente i milioni di italiani reduci dal disastro della guerra, oltre ai cantieri di rimboschimento dette vita anche ai corsi di qualificazione professionale con il duplice intento di dare un salario ai lavoratori disoccupati nel mentre dava loro una qualifica professionale in vista di una occupazione in Italia o piu' probabilmente all’estero come avvenne per molti in Canada.
Fu cosi' che scoprimmo la “capriata” e le altre armi del mestiere di carpentiere.
Una occupazione umile e utilissima perche' aiuta a mettere un tetto sull testa ma non clamorosa come sperimento' anche Gesu' quando da adulto torno’ a Nazareth per predicare la buona novella.
I suoi compaesani lo ridicolizzarono perche' come poteva essere un maestro il figlio di un carpentiere /falegname.
La premessa ci porta a Khaleel Seivwright che in altri tempi sarebbe stato celebrato come un eroe ma non nella nostra societa' postcapitalista degli edge funds dove tutto si misura con il successo il cui marchio e' il dio denaro.
Khaleel lo scorso autunno nel cuore della pandemia e con i rigori del freddo canadese alle porte penso' di dare una mano alle turbe dei senzatetto che per la buona societa’ rappresentano un problema le cui ragioni vengono sviscerate a morte dagli addetti al lavoro, da sociologi, psicologi e chi piu` ne ha piu` ne metta,senza che la situazione cambi.
Khaleel, di mestiere capentiere/ falegname usando pialla e martello decise di fabbricare minuscoli rifugi dove i senza tetto possono ripararsi dal freddo.
In TV vediamo ogni giorno accampamenti di senzatetto nei parchi, nelle ravine, sotto i ponti.
La pandemia ha esacerbato il problema perche’ i clochard sono vittime senza colpa che non hanno santi in paradiso .
Il problema e’ antico e va inditero nei tempi fino alla grande depressione degli anni trenta quando i senzatetto disoccupati si accampavano nella Don Valley.
Nel 1931 il Toronto Star scopri un gruppo di 400 uomini accampati lungo il fiume Don.
Non sappiamo cosa si aspettasse Khaleel a parte il fatto di tendere una mano a chi e' piu' sfortunato.
Se fosse stato un miliardario arricchitosi sfruttando il lavor di bambini (child labour) nelle miniere di oro di qualche paese del terzo mondo e se magari avesse fatto una donazione esentasse ad una istituzione avrebbe il suo nome su un palazzo.
E con gratitudine sarebbe promosso “Filantropo”, con tutti gli onori annessi.
Khaleel invece , per ringraziamento della sua generosita’ e solidarieta' umana in Novembre ha avuto una lettera dalla citta' di Toronto che gli intimava di smettere immediatemante ed il 12 febbraio addirittura gli e' stata recapitata una ingiunzione della corte.
La ragione per quanto incredibile: le piccole abitazioni potrebbero incendiarsi.
In risposta alla ingiunzione Khaleel in un video ha spiegato che “i suoi piccoli rifugi sono una soluzione temporanea alla crisi delle abitazioni per tenere vive le persone fino a quando possono avere accesso ad abitazioni permanenti” di la da venire, quando quelli che hanno potere decideranno di concludere gli infinti dibattiti e inizieranno a costruire le case anche per i poveri.
Ovviamente nei palazzi del potere, per i senzatetto e' piu sicuro morire di freddo.