Doping: gli inglesi pedalavano come pedalava Lance Armstrong

Bradley Wiggins vincitore del Tour de France 2012

La Wada riconosce il comportamento scorretto di British Cycling e dell’agenzia nazionale antidoping ma spiega che i responsabili dell’epoca non sono più in carica e quindi non più perseguibili.

di Nicola Sparano


Gli inglesi pedalavano e vincevano come pedalava e vinceva Lance Armstrong, imbottiti di steroidi, Apa e sostanze dopanti assortite.

Lo hanno reso noto lunedi', 10 anni dopo i fatti.

Erano alcuni anni che giravano voci sulle vittorie dei vari Wiggins, Froome, Thomas.

Al centro dello scandalo la British Cycling, il Team Sky ed il suo manager Dave Brailsford.

Negli anni scorsi c'era stato qualche tentativo di scoperchiare la scatola dei vermi, ma l'Inghilterra stioricamente sa sempre come pararsi il culo.

In questo caso ha nascosto il doping di stato, un sistema quasi simile a quello che ha messo alla gogna la Russia.

Con colpevole ritardo l'agenzia antidipong Wada ha reso noto che almeno due corridori inglesi, i cui nomi non sono stati resi noti, erano dopati quando presero parte alle Olimpiadi di Londra del 2012 quando i corridori vinsero 9 medaglie.

La federazione ciclistica inglese permetteva test antidoping privati, quando i controlli dovevano essere effettuati attraverso laboratori autorizzati.

Se i controlli erano positivi, se nella pipi’ c’era qualcosa che non andava,i risultati non venivano trasmessi all'agenzia internazionale ed il soggetto continuava a correre come se niente fudesse.

Per un decennio e oltre il patto tra Team Sky e Federazione (allora presieduta da Brian Cookson, poi diventato anche presidente UCI) ha dato i suoi frutti: 8 ori a Pechino 2008, 8 a Londra 2012 e 6 a Rio 2016, più 6 Tour dal 2012 al 2018: Wiggins, 4 Froome, Thomas. Il simbolo di questa superpotenza è Wiggins, 4 ori olimpici e 6 Mondiali in pista, primo britannico a vincere il Tour nel 2012, nominato Sir dalla Regina.
Era la fine del 2009 quando veniva annunciata la nascita del Team Sky e in stretta collaborazione con British Cycling veniva avviato un ambizioso e grandioso progetto che avrebbe portato a innumerevoli e prestigiosi successi. Alla guida tecnica e manageriale di entrambi i progetti c’era Dave Brailsford.

Il cuore della storia è l’autorizzazione (concessa in gran segreto e contro ogni regola) da parte dell’agenzia alla federazione di effettuare «test antidoping privati» sui propri atleti.

Le regole dell’antidoping sono univoche: solo le agenzie statali possono controllare gli atleti di vertice, in modo riservato e a sorpresa. La federazione (parte in causa) deve limitarsi ad osservare.

Durante uno di questi controlli interni, a fine 2010, nelle urine di un ciclista «di altissimo livello» venne trovato del nandrolone, uno steroide anabolizzante proibito in gara e fuori. Tutta la procedura fu decisa dai vertici di British Cycling: l’allora boss supremo Dave Brailsford (team manager di Sky e poi di Ineos), i medici Peters e Freeman e il coach Sutton (tutti e tre successivamente allontanati) che ottennero approvazione incondizionata da parte dei vertici dell’antidoping.

Il report della Wada riconosce il comportamento scorretto di British Cycling e dell’agenzia nazionale antidoping ma spiega che i responsabili dell’epoca non sono più in carica e quindi non più perseguibili, che entrambi i soggetti hanno messo in atto procedure perché i fatti non si ripetano e collaborano attivamente col nuovo sistema antidoping. 

Come a dire che hanno chiuso la stalla dopo che gli animali sono scappati.


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