Non è un caso se non riuscite a stare dietro a tutto quello che dice Trump

Fa decine di annunci al giorno, più o meno concreti: è una strategia studiata per stordire giornali e opposizioni, già applicata in parte all'inizio del suo primo mandato

 

(articolo pubblicato da IL FATTO QUOTIDIANO)

Sono passate circa tre settimane dall’inizio del secondo mandato di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, e sono state tre settimane piuttosto dense: fin dai primi giorni Trump ha emesso decine di ordini esecutivi, cioè decreti con effetto immediato, ha fatto ritirare gli Stati Uniti dall’OMS e dagli Accordi di Parigi, ha sospeso miliardi di euro di aiuti internazionali, ha provato a spingere alle dimissioni migliaia di dipendenti pubblici, minacciato l’invasione di un paio di paesi e proposto un piano per espellere i palestinesi dalla Striscia di Gaza. Il tutto è stato comunicato con una serie di dichiarazioni false, fuorvianti, offensive, discriminatorie e decisamente irrituali per un presidente statunitense.

È normale che un nuovo presidente approvi subito diversi ordini esecutivi e cambi in maniera anche radicale la posizione degli Stati Uniti su alcune questioni: successe anche nelle prime settimane di mandato di Joe Biden. Ma la frequenza con cui Trump ha dato qualcosa di cui parlare è stata a dir poco inusuale, ed è frutto di una strategia ben precisa.

 

Ne aveva parlato già nel 2019 Steve Bannon, che durante i primi mesi del primo mandato di Trump (2017-2021) era stato il suo più stretto collaboratore. «I media sono stupidi e sono pigri, sanno concentrarsi davvero solo su una cosa alla volta», disse Bannon. «Quindi tutto quello che dobbiamo fare è inondarli. Ogni giorno tirare fuori tre cose diverse. Si attaccheranno a una ma faremo le altre due. E andremo avanti ogni giorno così, bang, bang, bang. Non si riprenderanno».

L’idea, insomma, è che dare in pasto ai giornali e agli avversari politici più di una notizia al giorno da gestire li costringa a pensare continuamente a come reagire e rispondere, senza mai riuscire a organizzare una spiegazione efficiente di cosa stia succedendo, nel caso dei giornali, o una risposta politica che non sia semplicemente una critica, per i Democratici.

È la stessa strategia che Trump sta usando adesso: a differenza del suo primo mandato, però, molti suoi collaboratori sono già stati al governo e stanno quindi riuscendo a risultare molto più efficaci sia nella loro azione di governo sia nei rapporti con i giornali. Il New York Times scrive che in assenza di Bannon uno dei principali sostenitori di questa strategia è diventato Stephen Miller, il vice-capo di gabinetto della Casa Bianca, nonché uno dei collaboratori più estremisti di Trump.

La strategia non ha riguardato soltanto i primi giorni del mandato. La scorsa settimana, per esempio, NPR ha individuato almeno 46 notizie arrivate dalla Casa Bianca o da Trump nell’arco di quattro giorni, fra lunedì e giovedì. In questo calderone ovviamente finiscono anche le notizie meno buone per Trump: per esempio la sospensione permanente dell’ordine esecutivo con cui Trump aveva abolito il cosiddetto ius soli, il principio secondo cui chiunque nasce nel territorio degli Stati Uniti è un cittadino statunitense. Della notizia si è parlato pochissimo anche negli Stati Uniti, dato che l’attenzione dei giornali, dei lettori e dell’opposizione è stata subito assorbita da diverse altre cose che Trump ha fatto o detto.

Al momento la strategia di Trump sta funzionando. Da un lato i media nazionali e internazionali faticano a stare dietro al flusso di misure annunciate o imposte da Trump, e dall’altro i Democratici non hanno ancora definito un approccio condiviso su come comportarsi: alcuni, come il senatore Chris Murphy – uno di quelli che si candideranno a presidente, prima o poi – sostengono che il partito dovrebbe rispondere a Trump colpo su colpo a ogni sua uscita. Altri, come la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, promuovono invece un approccio meno frenetico e più concentrato sulla difesa e la promozione di alcuni temi specifici.

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