A Toronto chi beveva era  schedato come un criminale

Un modoluo per la raccolta dei dati personali che si doveva compilare prima di comprare alcoluci negli anni 60.

Ecco come si presentava un liquor store di Toronto negli anni 60.

di Nicola Sparano

 

Toronto negli anni 60, quando ci ho messo piede io, era una citta’ non ancora al passo coi tempi, decisamente bacchettona, bigotta all’inglese. Il termine bigotto  indica  una societa’ che ha una mentalità chiusa e intollerante verso idee e opinioni diverse dalle proprie e da chiunque non condivida i suoi valori e le sue convinzioni. Questa figura è spesso associata alla religione, ma in realtà può essere presente in qualsiasi contesto culturale, politico o commerciale.

Ed eccoci al punto, la vendita degli alcolici

Oggi comprare alcolici e’ facile, anzi facilissimo. Vino, liquori e birra sono disponibli anche dove fai benzina o riempi il carrello con generi alimentari. Una volta, non era cosi. Fino agli anni ’70 mettere le mani su una bottiglia di vino o di whisky dovevi essere, come dire, schedato come un criminale. Eh, si. Nei liquor store del colosso Liquor Control Board of Ontario che gestiva il

monopolio del settore una volta il consumatore doveva avere una specie di passaporto nel quale bisognava assicurare di essere dell’eta’ legale per comprare alcolici (21 anni)  riportare  nome, cognome e indirizzo. Si doveva anche specificare se il compratore era sposato, singolo o vedovo, dove lavorava e l’indirizzo del datore di lavoro.  Esisteva anche l’obbligo di notificare un eventuale cambio di residenza. Inoltre bisognava specificare se l’individuo era sposato, scapolo o vedovo. Si noti che nel modulo il cliente donna non esisteva, le donne potevano comprare alcolici ma a loro non si chiedeva se erano zitelle o madri di famiglia.

Ecco cosa ricorda un adolescente che negli anni ‘60  accompagnava il padre in una delle sue visite liquor store. “Restavo fuori, ma vedevo mio padre che compilava le piccole schede con una matita corta. Poi portava la scheda all'uomo al bancone e il suo ordine veniva assemblato dietro il bancone e tutto era ben imbustato in modo che non si vedessero le bottiglie”.

Comprare alcolici era un procedimento lungo e complesso che prevedeva di fare la fila, due volte.

Per prima cosa, il cliente doveva esaminare un elenco di marche disponibili. Poi compilava il modulo e si metteva in fila per consegnarlo a un cassiere e pagare.

Poi si univa a un'altra fila e consegnava il modulo all'impiegato che avrebbe ritirato i suoi acquisti dagli scaffali di bottiglie dietro il suo bancone.

"Mentre ogni negozio ha un assortimento considerevole di liquori e vini che compaiono in questo listino prezzi", si leggeva sui cartelli esposti, "non tutti i marchi elencati sono sempre disponibili".

L'impiegato poi metteva le sue bottiglie in un sacchetto di carta marrone.

Dal 1969 in poi non e’ stato piu’ possibile si schedare i consumatori di alcolici, quando al cliente fu permesso di scegliere personalmente la bottiglia desiderata senza dover compilare moduli o chiedere qualche permesso.

La liberalizzazione del metodo di acquisto degli alcolici fu probabilmente dovuta ai nuovi canadesi, gente proveniente da paesi dove bere non era un peccato mortale.

Noi freschi arrivati dall’Italia, ed io tra quelli, trovammo subito il modo di contestare il sistema ricorrendo all’ironia  sboccata spesso volgare, a volte oscena. Qualche esempio: Nome e Cognome: Piglianculo Joe; indirizzo: Via Caxxi Tua, N. 69; occupazione: scopatore.

 Probabilmente anche altri nuovi arrivati riempivano i moduli di maleparole ed alla fine qualcuno decise che era meglio abbandonare il metodo anglosassone per adottarne uno diciamo mondiale.

Concludendo,  ricordate il preverbio stavamo meglio quando stavamo peggio?

Oggi vale all’incontrario, meno male.

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