La giustizia italiana non funziona, la riforma e' problematica
(Il sistema e' intasato all'estremo. Dopo cinque anni il processo per i 29 morti di RIGOPIANO non e' neppure iniziato).
di Odoardo Di Santo
In queste uggiose giornate invernali , complice Omicron che minaccia di infettarci tutti, le temperature polari ci costringono a stare rinchiusi in casa.
Per ingannare il tempo tastiamo nevroticamente il telecomando alla vaga ricerca nei cento canali TV di qualche decente programma.
Delusi passiamo alla lettura delle cronache sempre piu' deprimenti dei giornali che ci sommergono con pagine intere sul covid che non accenna a lasciare il pianeta.
Ci e' occorso cosi' di leggere una notizia non comune.
Il giudice della corte superiore Michael Dambrot si e' dichiarato d’accordo con la difesa riconoscendo che i diritti costituzionali del cittadino Qing Quentin Huang sono stati violati e quindi ha deciso di annullare il giudizio perche' non ha avuto luogo in tempo ragionevole.
Huang era stato arrestato nel 2013 con l’accusa di tentato spionaggio a favore della Cina.
Le sue azioni secondo la RCMP erano una “minaccia al Canada”.
La sentenza del giudice Dambrot e' conforme alla decisione della Corte Suprema del Canada dell’ 8 luglio 2016 che stabiliva il termine di 30 mesi come tempo ragionevole per giudicare un accusato.
Fine della storia.
L’episodio ci ha fatto riflettere sulla tragedia dell’hotel Rigopiano travolto da una valanga il 18 gennaio 2017 uccidendo 29 persone.
Abbiamo pensato ai morti ed ai familiari delle vittime della tragedia ancora senza giustizia, perché il processo non è partito.
Nel giorno del quinto anniversario della tragedia, come ogni anno ci è stata una fiaccolata, l'alzabandiera, la deposizione dei fiori sulla lapide e una messa per ricordare le 29 vittime, tutte manifestazioni di buone intenzioni.
Ma il processo non è ancora iniziato per i trenta imputati che sono accusati a vario titolo di omicidio, lesioni colpose plurime, disastro colposo, abusi edilizi e falso ideologico.
Anche se incredibile, dopo cinque anni si è ancora in attesa delle perizie sulle quali si basa lo scontro tra accusa e difesa, cioè sull'origine della valanga del 18 gennaio, i tempi di verificazione, l'entità e i suoi effetti sul territorio.
In Italia l’antica pragmatica regola della common law: “Justice delayed is justice denied”.(giutizia ritardata è giustizia negata) non si applica.
In parole povere , se il processo viene rimandato alle calende greche chi soffre è innanzitutto la vittima perchè non ottiene giustizia ma anche l’accusato che non puo' chiarire il suo nome che nel sistema italiano sui media diventa automaticamente un condannato .
In Italia sarebbe folle pensare ad una decisione della Corte Costituzionale che, al pari della Corte Suprema canadese , emetta una direttiva chiara semplice e pratica.
Sarebbe troppo semplice.
Come sempre si parla invece di “Riforma” la parola magica che fa presagire chissa quali cambiamenti.
La situazione pero' è ora ad un punto di non ritorno e l’Italia deve fare qualcosa per rendere almeno decenti i tempi della giustizia, anche se l’antica supponenza italica si mette di traverso.
Secondo l’ultimo rapporto Eurispes l'Italia ha bisogno di una riforma.
Ma non per esempio assumere piu' giudici, fornire i tribunali di computers, dare le notifiche in tempi ragionevoli.
Per Euripesla riforma dev essere un trattato di alta disquisizione: ”Ricondurre la indispensabile riforma dei tempi del processo penale dentro i confini di un dibattito serio e non più propagandistico, con un duplice obiettivo: rispettare i parametri delle garanzie costituzionali dettate dall'articolo 111 della Costituzione, ed intervenire sugli istituti processuali muovendo non da pregiudizi ideologici e pulsioni contro-riformatrici, ma dalla conoscenza certa e chiara delle cause del dissesto che si intende risolvere.”
Eurispes non spega come questi nobili principi contribuiranno a rendere giustizia alle vittime della tragedia di Rigopiano.
Pero' la riforma del processo penale deve farsi perchè è imposta dall’Unione Europea che esige la riduzione del 25% dei tempi - che il Paese deve raggiungere per ottenere dall'Europa i fondi del Recovery Plan, in Italia chiamato Pnrr: non solo i fondi per la giustizia ma tutti i 191 miliardi di euro destinati al nostro Paese.E con gli euro non si scherza.
Siccome c’ è Draghi ed il piano PNRR è in attuazione, in qualche modo la riforma va attuata. Difficile prevedere come.
A sentire gli addetti al lavoro (politici, giudici, procuratori, avvocati) la confusione è totale perchè ognuno vuol portare l’acqua al proprio mulino
Questa settimana è stato inaugurato l’anno giudiziario.
Un coro di lamentele ha percorso tutta la penisola senza eccezioni tra nord e sud.
POCHI MAGISTRATI, INFRASTRUTTURE INSUFFICIENTI
E per tutti lo stato comatoso della giustizia in Italia è colpa di qualcun altro.
Per Giuseppe de Carolis di Prossedi, presidente della corte d’Appello di Napoli, le piante organiche del personale amministrativo sono “rimaste invariate, assolutamente insufficiente e e i posti del settore penale della Corte di Appello continuano a rimanere vacanti. Nel distretto ci sono circa 200 magistrati del pubblico ministero che riescono a perseguire non più del 30% circa dei reati commessi nel territorio. Il Tribunale di Napoli Nord non riesce attualmente a fissare le prime udienze prima del 2026”.
Inoltre dinanzi alle sezioni penali della Corte d’Appello i processi penali pendenti sono 57 mila 293. La prescrizione ha falcidiato quest’anno il 32% dei processi in appello.
Per l’ex procuratore antimafia Di Matteo il problema è “una profonda crisi di credibilità della quale parte significativa del potere (politico, economico, finanziario) vuole oggi approfittare per avviare un vero e proprio regolamento di conti ed il problema urgente”.
A 30 anni dalle stragi del ’92 è indagare su mandanti esterni , il miglior modo per ricordare i nostri morti”.
Le famiglie delle vittime di Rigopiano vorrebbero anche sapere perchè i loro cari sono morti, perchè di essi si ricordano ogni giorno.
I nobili propositi di chi vuole formulare una "riforma ideale della giustizia" che sulla carta risolverà tutti i problemi cozzano contro i fatti che pero' parlano un linguaggio diverso, inquietante.
L’ultimo studio statistico dell’Eurispes condotto su un campione di 32 tribunali italiani, monitorando l’andamento di 13.755 processi penali ci dice che l’ 78,7 per cento dei processi di primo grado termina con un rinvio ad altra udienza.
Ecco perchè : nel 16,4 per cento dei casi il rinvio è dovuto al fatto che l’udienza è destinata solo all’ammissione delle prove; nel 16,1% il motivo invece è la prosecuzione dell’istruttoria.
Il 10,7% dei processi viene rinviato per la discussione finale, nell’ 8,3% dei casi la ragione è che mancano i testi del P.M.
Nel 6,2 % è colpa invece della irregolarità della notifica all’imputato.
Il 4,3 per cento dei rinvii è legato alla richiesta di messa alla prova e infine il 3,3% dei processi è differito per mancanza del giudice titolare.
INCREDIBILI TEMPI DI RINVIO
I tempi di rinvio ad altra udienza, dal 2008 sono passati da 139 giorni di media a 154 giorni con un solo giudice e da 117 a 129 giorni per quello collegiale, mentre è diminuita la durata media della singola udienza (da 18 a 14 minuti per il giudice singolo da 52 a 39 minuti davanti al Collegio).
Le ragioni inescusabili del rinvio delle udienze sono soprattutto “patologiche”, come quelle relative alle notifiche all’imputato, alla citazione dei testi dell’accusa, all’assenza del giudice a rallentare inutilmente la durata del processo penale.
E le patologie, nota il rapporto, sono tutte causate dalla inefficienza della macchina giudiziaria. Un fallimento senza attenuanti.
Per le famiglie delle vittime di Rigopiano tutte le nobili disquisizioni che menano il cane per l’aia non aiutano a rendere giustizia a loro ed a tutti quelli che sono vittime del fallimento della giustizia italiana.
Il Presidente delle Camere Penali, Giandomenico Caiazza dovrebbe loro spiegare cosa vuol dire la sua dichiarazione di aria fritta, in lingua comprensibile da tutti e che cosa cambia : “Quando in un dibattito politico fortemente connotato da pregiudiziali ideologiche fa irruzione la realtà raccontata da rigorose evidenze statistiche, occorre che i protagonisti di quel dibattito (e soprattutto delle scelte legislative che si andranno ad adottare) facciano i conti con essa.”